Paolo Talanca
2005-12-26 12:57:29 UTC
Ascoltavo in macchina "Opere e omissioni" e d'un tratto mi si è parata
di fronte una reminiscenza montaliana, precisamente della poesia "Gli
orecchini", che si triva nella raccolta "La bufera e altro" (1940-54).
Questa la poesia:
GLI ORECCHINI
Non serba ombra di voli il nerofumo
della spera. (E del tuo non è piú traccia.)
È passata la spugna che i barlumi
indifesi dal cerchio d'oro scaccia.
Le tue pietre, i coralli, il forte imperio
che ti rapisce vi cercavo; fuggo
l'iddia che non s'incarna, i desiderî
porto fin che al tuo lampo non si struggono.
Ronzano èlitre fuori, ronza il folle
mortorio e sa che due vite non contano.
Nella cornice tornano le molli
meduse della sera. La tua impronta
verrà di giú: dove ai tuoi lobi squallide
mani, travolte, fermano i coralli.
Entrando più nel dettaglio, ascoltando l'incipit della canzone:
Era uno specchio o un'eco
od un riflesso di un'assenza
io sono un vecchio ed uno spreco
io con gli occhiali io senza
appare evidente la vicinanza tra la spera (cioè lo specchio) della
poesia e lo specchio o il "riflesso di un'assenza" - immagine
antitetica, che ci pone di fronte a una doppia strada, cme l'io poetico
"con glio occhiali o senza".
Nella poesia il centro propulsore e creatore dello stato d'incertezza e
di opacità è rappresentato dalla percezione di lei e dalla sua reale
assenza, desolante nell'unica e parzialissima figura del correlativo
oggettivo degli orecchini. Nella canzone, d'altra parte, è proprio
dall'assenza della donna che nasce la poesia, come in molta parte del
viaggio del viaggiatore verso la sua domani.
Ovviamente questo mio post è colpevolmente e assolutamente parziale.
Sia la poesia che la canzone meritano un approfondimento maggiore, sia
separatamente che in maniera correlata.
Mi sembra giusto, però, riportare un passo di un saggio di Cesare
Segre, che a sua volta riporta un'analisi alla poesia di Montale fatta
da Avalle, parlando della critica strutturalista. Il libro è "I metodi
attuali della critica in Italia", Torino, ERI, 1970, pagg. 335-336:
<<In un'atmosfera di raffinatezza un po' sfatta (la spera, il cerchio
d'oro, le tue pietre, i coralli, la cornice) viene evocata una sera
infinitamente malinconica (il nerofumo, i barlumi scacciati, le meduse
della sera), in cui domina il senso di una solitudine anche
sentimentale (E' passata la spugna, scaccia, ti rapisce) che invano
cerca di recuperare anche con la memoria un passato distrutto (il
nerofumo che non serba ombra di voli; vi ceravo; la tua impronta verrà
di giù).
Questi elementi descrittivi si saldano l'un l'altro attraverso le
connotazioni loro proprie. Così la spera, cioè lo specchio, assorbe
in sé l'oscurità serale attraverso la connessione tra nerofumo,
barlumi indifesi, meduse della sera: un'oscurità animata da dolorosi
fantasmi, da ombre lugubri. Nello stesso tempo lo specchio, riflettendo
la realtà che ha effettivamente dinnanzi, richiama anche, nella forma
negativa dell'assenza, ciò che non è più, il buio, l'oblio, il
nulla, e si fa simbolo delle lacune devastatrici della memoria (non
serba ombra di voli).In pratica lo specchio diventa il diaframma tra un
presente sconsolato e una memoria interrogata dolorosamente: una
memoria che, come un ectoplasma, può materializzarsi un giorno
nell'oscurità ostle dello specchio [è tutto plausibilmente riferibile
allo scenario di "Quanto tempo ho", solo che questa base semantica
nella canzone non prevede ancora un ripiegamento verso il passato,
bensì un cercare di interrogare il futuro, nell'imprescindibile
elemento dell'intero album VSCDT, cioè lo sguardo sempre e comunque
rivoloto al futuro: qui per interrogarsi sul tempo rimasto (quanto
tempo ho), altrove per completare lo sguardo al passato di "Oltre" e lo
scavo interiore nel presente di "Io sono qui"]; lo specchio sarà
allora una lastra su un mondo di cadaveri.>> [e qui, in effetti, viene
in mente più la "deriva di anime" di "Quanto tempo ho"; ma, a mio
avviso, più che una prova contro è a favore, tenendo presente
l'assoluta consequenzialità, quasi propedeutica, delle canzoni della
trilogia, in particolare di VSCDT]
ciao
Paolo
di fronte una reminiscenza montaliana, precisamente della poesia "Gli
orecchini", che si triva nella raccolta "La bufera e altro" (1940-54).
Questa la poesia:
GLI ORECCHINI
Non serba ombra di voli il nerofumo
della spera. (E del tuo non è piú traccia.)
È passata la spugna che i barlumi
indifesi dal cerchio d'oro scaccia.
Le tue pietre, i coralli, il forte imperio
che ti rapisce vi cercavo; fuggo
l'iddia che non s'incarna, i desiderî
porto fin che al tuo lampo non si struggono.
Ronzano èlitre fuori, ronza il folle
mortorio e sa che due vite non contano.
Nella cornice tornano le molli
meduse della sera. La tua impronta
verrà di giú: dove ai tuoi lobi squallide
mani, travolte, fermano i coralli.
Entrando più nel dettaglio, ascoltando l'incipit della canzone:
Era uno specchio o un'eco
od un riflesso di un'assenza
io sono un vecchio ed uno spreco
io con gli occhiali io senza
appare evidente la vicinanza tra la spera (cioè lo specchio) della
poesia e lo specchio o il "riflesso di un'assenza" - immagine
antitetica, che ci pone di fronte a una doppia strada, cme l'io poetico
"con glio occhiali o senza".
Nella poesia il centro propulsore e creatore dello stato d'incertezza e
di opacità è rappresentato dalla percezione di lei e dalla sua reale
assenza, desolante nell'unica e parzialissima figura del correlativo
oggettivo degli orecchini. Nella canzone, d'altra parte, è proprio
dall'assenza della donna che nasce la poesia, come in molta parte del
viaggio del viaggiatore verso la sua domani.
Ovviamente questo mio post è colpevolmente e assolutamente parziale.
Sia la poesia che la canzone meritano un approfondimento maggiore, sia
separatamente che in maniera correlata.
Mi sembra giusto, però, riportare un passo di un saggio di Cesare
Segre, che a sua volta riporta un'analisi alla poesia di Montale fatta
da Avalle, parlando della critica strutturalista. Il libro è "I metodi
attuali della critica in Italia", Torino, ERI, 1970, pagg. 335-336:
<<In un'atmosfera di raffinatezza un po' sfatta (la spera, il cerchio
d'oro, le tue pietre, i coralli, la cornice) viene evocata una sera
infinitamente malinconica (il nerofumo, i barlumi scacciati, le meduse
della sera), in cui domina il senso di una solitudine anche
sentimentale (E' passata la spugna, scaccia, ti rapisce) che invano
cerca di recuperare anche con la memoria un passato distrutto (il
nerofumo che non serba ombra di voli; vi ceravo; la tua impronta verrà
di giù).
Questi elementi descrittivi si saldano l'un l'altro attraverso le
connotazioni loro proprie. Così la spera, cioè lo specchio, assorbe
in sé l'oscurità serale attraverso la connessione tra nerofumo,
barlumi indifesi, meduse della sera: un'oscurità animata da dolorosi
fantasmi, da ombre lugubri. Nello stesso tempo lo specchio, riflettendo
la realtà che ha effettivamente dinnanzi, richiama anche, nella forma
negativa dell'assenza, ciò che non è più, il buio, l'oblio, il
nulla, e si fa simbolo delle lacune devastatrici della memoria (non
serba ombra di voli).In pratica lo specchio diventa il diaframma tra un
presente sconsolato e una memoria interrogata dolorosamente: una
memoria che, come un ectoplasma, può materializzarsi un giorno
nell'oscurità ostle dello specchio [è tutto plausibilmente riferibile
allo scenario di "Quanto tempo ho", solo che questa base semantica
nella canzone non prevede ancora un ripiegamento verso il passato,
bensì un cercare di interrogare il futuro, nell'imprescindibile
elemento dell'intero album VSCDT, cioè lo sguardo sempre e comunque
rivoloto al futuro: qui per interrogarsi sul tempo rimasto (quanto
tempo ho), altrove per completare lo sguardo al passato di "Oltre" e lo
scavo interiore nel presente di "Io sono qui"]; lo specchio sarà
allora una lastra su un mondo di cadaveri.>> [e qui, in effetti, viene
in mente più la "deriva di anime" di "Quanto tempo ho"; ma, a mio
avviso, più che una prova contro è a favore, tenendo presente
l'assoluta consequenzialità, quasi propedeutica, delle canzoni della
trilogia, in particolare di VSCDT]
ciao
Paolo